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Seminario di Gunther Diegel

Le nostre impressioni.

Sinceramente, da non addetti ai lavori, non abbiamo potuto fare a meno di notare come, a fronte di una volontà assolutamente condivisibile, di pretendere, per raggiungere l'eccellente, un grande affiatamento con il conduttore e la gioia a lavorare da parte del cane, senza sottomissione, nell'analisi di come debbano poi essere assegnati i punteggi, il criterio resta per forza di cose legato alla precisione delle esecuzioni, finendo, nei fatti, se consideriamo un buon cane da gara medio che non aspiri all'eccellenza, con il penalizzare di più un cane brioso e "sporco" piuttosto che un cane preciso e un po' "spento". Importante comunque la rilevanza data al rapporto con il conduttore, il ribadire la necessità che il cane dimostri piacere nel lavoro, il richiamo ai giudici perchè è loro la responsabilità non solo del singolo giudizio da gara, ma anche e soprattutto dell'orientamento dell'allevamento.

Siamo perfettamente d'accordo con Diegel per quanto riguarda la necessità di mantenere inalterate le caratteristiche peculiari del pastore tedesco, che possono comprendere una certa diffidenza nei confronti degli estranei, una dose di aggressività pur nel controllo del conduttore-proprietario. Condividiamo anche il fatto che la scelta del metodo di addestramento (noi diremmo anche del metodo per l'educazione) non possa non comprendere l'utilizzo del "no" e che il cane debba comprendere cio che può e non può fare. Che l'educazione e l'addestramento comprendano costrizione è per noi un dato di fatto, quando per costrizione si intenda l'obbligare il cane a fare ciò che gli chiediamo. Il punto è con quali mezzi ci si adoperi per "costringere". Dalla relazione di Diegel, al di là delle condivisibili parole sul rispetto dell'animale e sulla non condivisione di un addestramento fatto tutto in evitamento, non emerge in modo netto e chiaro un no all'utilizzo di certi sistemi. Non solo, ma la valutazione dei punteggi e il rilievo dato alla velocità di esecuzione va ancor più nella direzione di un non poter fare a meno di certe tecniche teorizzate da Helmut Raiser. Diegel ci è parso in due parole un po' troppo gattopardesco riguardo a certe tematiche e ci ha ricordato analoghi atteggiamenti sostenuti in Italia da Roman. No all'utilizzo dell'evitamento e di un addestramento fortemente coercitivo (soprattutto in pista e ) ma anche la convinzione, se pur non espressa chiaramente, che, per ottenere certi risultati e certi livelli di perfezione richiesti oggi, il ricorso a certe tecniche sia necessario. Purtroppo non c'è una riflessione seria sull'attribuzione dei punteggi e non c'è la volontà di intervenire ad evitare il ricorso a certe pratiche perchè, senza certe pratiche, non si arriva ad ottenere il risultato.

Purtroppo anche Diegel che pur sottolinea come il lavoro dei giudici di prove influenzi l'allevamento e debba avere come primo fondamento il rispetto per la razza, poi si perde nel suo essere agonista e, dimentico di quanto affermato, torna a parlare di "risultati rilevanti nelle prove". Tutta la sua condivisibile preoccupazione per l'opinione pubblica e per l'immagine che l'UD finisce con il dare ai non addetti ai lavori, diventa una sorta di attenzione alla facciata piuttosto che alla sostanza. Importante sarebbe stata una presa di posizione che prendesse seriamente in considerazione le reali doti naturali dei cani e si preoccupasse di rendere le prove UD realmente significative per l'allevamento e la tutela della razza, anche a costo di rivedere regolamenti, attribuzioni dei punteggi e, di conseguenza, i criteri di giudizio.

Il rischio, lo abbiamo sottolineato più volte, è quello di allontanare il privato dal mondo dell'UD indirizzando sempre più gli allevatori di pastore tedesco a lavorare con linee di sangue caratterialmente non corrispondenti allo standard, cani con scarsa tempra, alta docilità, discreto predatorio per i quali le prove UD, fintanto che verranno mantenute, divengono solo un fastidioso scoglio da superare e non una fondamentale valutazione di attinenza allo standard di razza. Il tutto mentre si crea un mondo agonistico chiuso, dove la casta degli addetti ai lavori si dedica alle prove, partecipa ai campionati, lavora per aspirare ai fatidici 100 100 100 e dove lo spazio del privato che abbia voglia di lavorare con il proprio cane senza forzature finisce con il relegarlo in una sorta di serie B dell'Utilità e Difesa, troppo spesso lasciandolo nelle mani di addestratori non dotati delle conoscenze dei grandi conduttori perchè, per entrare nei grandi campi dei maestri, occorre condividerne regole e filosofia.

 

 

 

 

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